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Trento, 21 settembre 2017
IL MIO DISSENSO “GIOVANNEO” E “CONCILIARE”
DALLA NOMINA DI GIOVANNI XXIII A PATRONO DELL’ESERCITO

di Marco Boato
parzialmente ripreso da l'Adige di giovedì 21 settembre 2017

Francamente la notizia mi ha lasciato esterrefatto. L’ordinario militare per l’Italia (dal 2013), l’arcivescovo Santo Marcianò, ha consegnato al capo di Stato maggiore dell’Esercito italiano (dal 2015), generale di corpo d’armata Danilo Errico, il decreto (e non la “bolla pontificia”, come erroneamente comunicato) con cui il card. Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, ha stabilito che papa Giovanni XXIII sarà il patrono dell’Esercito italiano. Nel mondo cattolico italiano hanno tempestivamente preso una posizione di radicale dissenso sia “Pax Christi” e Nigrizia, sia anche il movimento “Noi siamo Chiesa”. A queste, si è aggiunta una puntuale presa di posizione da parte del “Movimento nonviolento”, con una nota di Mao Valpiana, pienamente condivisibile.

L’ex parlamentare cattolico (Democrazia cristiana, Partito popolare, Margherita e Ulivo) Pierluigi Castagnetti per parte sua ha definito questa decisione “semplicemente assurda” e ha dichiarato: "Si vuole associare all'esercito un patrono che sia segno di contraddizione con la sua funzione istituzionale o si vuole ‘contenere’ lo spessore profetico di un Papa, la cui memoria nella coscienza di tutti è vissuta come il simbolo della bontà e della pace? Ma Papa Francesco ne è informato?".

Anche mons. Giovanni Ricchiuti, arcivescovo presidente di “Pax Christi”, ha espresso in questo modo le sue esplicite riserve: " Giovanni XXIII è nel cuore di tutte le persone come il Papa Buono, il papa della pace, e non degli eserciti". E ancora: "Come presidente della sezione italiana di Pax Christi, mi sembra irrispettoso coinvolgere come patrono dell’Esercito colui che, da papa, denunciò ogni guerra con l'enciclica Pacem in terris e diede avvio al Concilio che, nella costituzione Gaudium et spes, condanna ogni guerra totale, come di fatto sono tutte le guerre di oggi".

Ancora mons. Ricchiuti: “Forse sarebbe stato meglio confrontarsi, come si è fatto in precedenti occasioni, all’interno della Conferenza episcopale italiana. Ma lo dico anche come semplice vescovo, e molti miei confratelli in queste ore mi stanno esprimendo la loro perplessità su questa scelta”.

Una contrarietà motivata anche dal fatto che “l’Esercito di oggi, formato da militari professionisti e non più di leva, è molto diverso da quello della Prima guerra mondiale che, non lo possiamo dimenticare, fu definita da Benedetto XV ‘inutile strage’. È molto cambiato anche il modello di Difesa, con costi altissimi (23 miliardi di euro per il 2017) e teso a difendere gli interessi vitali ovunque minacciati o compromessi”. E ha aggiunto, citando una espressione del defunto vescovo don Tonino Bello, che fu a sua volta presidente di “Pax Christi” fino al 1993: “Roba da matti”.

Alla base delle molteplici posizioni, da parte di tutti vi è comunque la consapevolezza che l’esperienza della guerra spinse più che mai Giovanni XXIII alla promozione della pace, come riferisce anche il sito Avvenire.it del 12 settembre 2017, nel quale è riportata inoltre la sorpresa del presidente della CEI (Conferenza episcopale italiana), card. Gualtiero Bassetti, che afferma di non essere stato consultato e neppure informato di questa decisione, di cui non sapeva nulla. E di “forzatura” ha parlato anche  Giovanni Paolo Ramonda, presidente della “Comunità Papa Giovanni XXIII” fondata da don Oreste Benzi: “Ci sarebbe sembrato più opportuno che papa Giovanni venisse nominato patrono degli operatori di pace e dei molti giovani che svolgono un servizio civile nelle zone di guerra”.

In un durissimo documento di critica, il movimento “Noi siamo Chiesa” ha concluso: “Pensiamo e speriamo che questa situazione non passi sotto silenzio nel mondo cattolico italiano, che non sia ovattata  con belle ed ipocrite parole, ma che ci sia invece una vera e propria reazione  di fronte a quello che riteniamo essere  un vero e proprio sopruso, che offende il Vangelo e la coscienza pacifista che si ispira al messaggio di fondo di papa Giovanni.”

In realtà, oltre a quelle citate, le reazioni non sono state molte, sicuramente inferiori a quelle che ci si sarebbe potuti aspettare. Forse questo parziale silenzio è stato dovuto anche all’erronea comunicazione che si sarebbe trattato di una “bolla pontificia”, che avrebbe coinvolto direttamente anche papa Francesco  (“ma papa Francesco è informato”, si è chiesto non a caso Pierluigi Castagnetti), mentre si è trattato “soltanto” di un “decreto” della Congregazione per il culto divino, cosa che comunque non attenua il dissenso e lo sconcerto per una simile decisione.

In me ha suscitato comunque ulteriore sconcerto che un pretestuoso avallo sia venuto anche da don Ezio Bolis della “Fondazione Giovanni XXIII” di Bergamo e che l’ex-ordinario militare mons. Vincenzo Pelvi, insieme al suo vicario di allora  mons. Angelo Frigerio, abbia cercato di coinvolgere in questa scelta anche la figura di Loris Francesco Capovilla, antico segretario di papa Giovanni XXIII, morto da cardinale (nominato a 98 anni da papa Francesco nel 2014) ultracentenario il 26 maggio 2016.

Mi è sembrato di pessimo gusto questo tentativo di acquisire un consenso post mortem da parte di don Loris Capovilla (così l’ho chiamato per tutta la vita, avendolo conosciuto fin da ragazzo a Venezia negli anni ’50) per una decisione così discutibile e, a mio parere, radicalmente inaccettabile. Sono passati i tempi post-conciliari del “dissenso cattolico” e della “contestazione ecclesiale”, quando una scelta di questo genere avrebbe suscitato innumerevoli reazioni critiche. Forse oggi prevale il distacco e, quel che è peggio, l’indifferenza.

Per quanto mi riguarda, avendo frequentato Loris Capovilla per tanti decenni, fino alla morte, posso solo testimoniare che – pur avendo parlato innumerevoli volte di Giovanni XXIII nei nostri incontri – in nessuna circostanza ho mai ricevuto da lui qualche giudizio che potesse avvalorare la decisione attuale di proclamare il papa, di cui lui era stato il più diretto collaboratore (segretario e “contubernale”, come diceva) patrono dell’Esercito italiano Eugenio Melandri, attraverso Facebook, ha ricordato quali erano i pensieri del futuro papa Giovanni all’atto di congedarsi: “Oh, il mondo come è brutto, quanta schifezza, che lordura! Nel mio anno di vita militare l’ho ben toccato con mano. Oh, come l’esercito è una fontana donde scorre il putridume, ad allagare la città. Chi si salva da questo diluvio di fango, se Dio non lo aiuta? Deo gratias. Mi sono recato all’Infermeria presidiaria per la mia visita di congedo alla Direzione dell’ospedale militare; e, tornato a casa, ho voluto staccare da me stesso, dai miei abiti tutti i segni del servizio militare, signa servitutis meae. Con quanta gioia l’ho fatto!”.

Poiché la motivazione della scelta attuale viene fatta risalire all’esperienza del giovane don Angelo Roncalli quale cappellano militare nella prima guerra mondiale (e tale, del resto, era stato anche don Loris Capovilla nella seconda guerra mondiale), sarebbe opportuno che quanti invocano questa esperienza riflettessero su queste amare riflessioni del Roncalli di allora, che spinsero anche il Roncalli del 1963, divenuto papa, a emanare la sua principale e più famosa (tutt’oggi attualissima) enciclica Pacem in terris.

 

  Marco Boato

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